Fridays for Future verso il sostegno al nucleare?

Come è noto, l’energia nucleare spesso divide nettamente le anime ambientaliste della nostra società. Lo si vede chiaramente nelle forze politiche pan-europee ad esempio, o nei movimenti internazionali. In particolare il movimento Fridays For Future con la sua leader ha a più riprese mostrato una marcata diffidenza verso la fissione: a volte con parole nette, a volte con una vignetta scientificamente errata in cui fumo radioattivo fuoriesce da una torre evaporativa. A questo proposito ricordiamo che dalle torri, così iconiche per le centrali nucleari, fuoriesce soltanto comunissimo vapore -quindi acqua. In questo periodo di rinnovata riflessione sulle fonti energetiche e la transizione ecologica però siamo tutti chiamati ad una revisione delle posizioni e ad un certo pragmatismo. Così sono arrivate le prime esternazioni di Fridays For Future Finlandia, FFFSuomi, che indica il nucleare come parte necessaria per la transizione. Scrivono infatti che pur non essendo un’alternativa perfetta (ma quale fonte lo è?) la priorità è mantenere basse le emissioni per fermare il riscaldamento globale sotto i 1.5°C, e i rifiuti radioattivi sono una minaccia meno preoccupante a confronto. Ci permettiamo di aggiungere, o meglio di ricordare per i nostri lettori, che i rifiuti radioattivi ad alta attività – quelli più problematici da smaltire – rappresentano comunque volumi molto contenuti. Alla sezione finlandese si è poi da poco aggiunta quella polacca:“[…] vediamo la necessità di una trasformazione immediata ed efficace del settore energetico a livello nazionale [polacco], europeo e globale. Tale transizione deve essere basata su risorse rinnovabili a basse emissioni […] e in misura minore sull’energia nucleare, un elemento necessario alla soluzione. Siamo consci degli svantaggi di queste tecnologie, ma il loro sviluppo e applicazione su larga scala sono essenziali per raggiungere la neutralità climatica al minor costo sociale e ambientale possibile. […] non ci possiamo permettere il lusso di rifiutare arbitrariamente delle soluzioni.” Una frase, quest’ultima, che ci ricorda la posizione del Ministro Cingolani: non avere pregiudizi verso nessuna possibile soluzione tecnica.   Last but not least, lontano dall’ambito Fridays For Future ma un grande player in ambito energetico. Elon Musk pochi giorni fa nel podcast di Lex Friedman ha espresso il proprio sostegno per l’energia nucleare, la necessità di fare maggiore informazione presso la popolazione sulla radioattività e i suoi effetti. Come non essere d’accordo?  

AIN scrive ai deputati europei per sollecitare l’inclusione del nucleare nella Tassonomia UE

COMUNICATO STAMPA Associazione Italiana Nucleare (AIN) ha indirizzato una lettera a tutti i deputati italiani all’Europarlamento al fine di raccomandare le opportune azioni volte ad includere l’energia nuclea- re nella Tassonomia europea degli investimenti sostenibili. La lettera evidenzia come la Tassonomia debba essere basata sul principio della neutralità tecno- logica, demandando ai singoli Stati nazionali ed al mercato l’individuazione dei percorsi d’investimento più opportuni verso la decarbonizzazione. AIN rimarca in particolare come il massi- mo organismo scientifico europeo non abbia ravvisato nessun elemento che imputi all’energia nu- cleare un impatto ambientale e sulla salute umana superiore alle altre tecnologie già inserite nella tassonomia. Inoltre, la spinta all’innovazione nel settore nucleare, che vede in primo piano lo sviluppo degli Small Modular Reactors e dei reattori avanzati, per la prima volta coinvolgendo anche i capitali pri- vati, deve essere alimentata e opportunamente supportata tramite la Tassonomia. Infine, la lettera sottolinea come, indipendentemente dalla scelta di non produrre energia nucleare sul territorio nazionale, l’Italia è direttamente interessata all’inclusione delle tecnologie nucleari nel- la tassonomia, per supportare il posizionamento competitivo delle proprie imprese del settore nel mercato globale. In conclusione, Associazione italiana Nucleare auspica che il Regolamento Complementare alla Tassonomia che includa anche il nucleare possa essere portato al vaglio del Parlamento Europeo entro la fine di novembre e che, in mancanza di questo passaggio, la ratifica del Regolamento De- legato da parte del Governo Italiano rimanga in sospeso. Scarica il Comunicato Stampa in formato PDF Scarica la lettera in formato PDF

Quasi 100 europarlamentari firmano per il nucleare sostenibile

87 membri dell’Europarlamento hanno sottoscritto una lettera indirizzata a Frans Timmermans, Vice-presidente esecutivo per il Green Deal Europeo, Valdis Dombrovskis, Vice-presidente esecutivo per l’Economia a misura d’uomo e ai commissari competenti in materia invocando un pronto inserimento dell’energia nucleare nella Tassonomia europea. Tra i firmatari, di varie nazionalità e partiti politici, figura anche l’italiano Pietro Fiocchi (ECR). Nella lettera si sottolinea come la sfida della decarbonizzazione non possa prescindere dall’uso di tutte le tecnologie adatte a ridurre le emissioni, e dunque i Paesi che hanno intrapreso o vogliono intraprendere la strada del nucleare non dovrebbero essere ostacolati, ma sostenuti in questo proposito. Si nota come il Joint Research Center (JRC), massimo organismo di consulenza scientifica della Commissione Europea, abbia concluso che la fissione nucleare aderisce al principio del “do not significant harm” al pari o meglio di altre tecnologie sostenibili, e come questo giudizio sia stato largamente confermato dalla revisione del rapporto affidata ad altri due organismi indipendenti (Article 31 e SCHEER). Questi pareri si aggiungono a quello dell’IPCC delle Nazioni Unite, che da tempo vede nell’energia nucleare uno strumento imprescindibile per la mitigazione del cambiamento climatico. I firmatari auspicano dunque che la Commissione Europea ignori le sirene anti-nucleari (Germania e Austria in testa) e assuma le proprie decisioni su base scientifica, evitando di penalizzare la fonte nucleare, che già oggi costituisce il 40% circa dell’energia a basse emissioni prodotta nell’Unione. Leggi la lettera integrale

Tassonomia EU: il parere dello SCHEER sul nucleare non è conclusivo

Lo Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks  (SCHEER) ha completato la revisione del rapporto JRC sulla sostenibilità dell’energia nucleare, in merito alla soddisfazione da parte di quest’ultima del principio del “do not significant harm” (DNSH). Rimarranno però delusi quanti si aspettavano una parola definitiva a favore o contro la sostenibilità dell’atomo, che dal documento non si evince. In primo luogo lo SCHEER, per completare la revisione nei tempi indicati dalla Commissione EU (ovvero entro il 30 giugno), non ha potuto far ricorso ad esperti esterni ed ad una ricerca bibliografica più ampia. Ha dunque dovuto limitarsi all’esame di quanto pubblicato dal JRC, limitandosi a verificare la congruenza e l’adeguatezza degli studi citati e delle conclusioni tratte. Per altro, solo su una parte dello studio, esulando la gran parte di esso dalle competenze specifiche dei membri dello SCHEER (tra i quali figurano prevalentemente biologi, medici e fisici di area medica o statistica). Nel complesso i revisori concordano con le conclusioni generali del rapporto, sebbene indichino alcuni temi che meriterebbero approfondimento. E’ quindi nei dettagli che si evince la diversità dell’approccio nel giudizio sulla fonte nucleare, che riflette verosimilmente anche i diversi mandati istituzionali dei due soggetti. Una delle principali critiche sollevate dallo SCHEER al rapporto JRC riguarda infatti la modalità di investigazione del principio DNSH. Laddove infatti il JRC conclude che non vi è evidenza che il nucleare sia più dannoso rispetto ad altre tecnologie incluse nella Tassonomia, lo SCHEER stigmatizza il fatto che tale affermazione non significa che il nucleare non rechi alcun danno, ovvero che soddisfi il principio DNSH, nel senso in cui questo termine deve essere interpretato secondo il principio di precauzione. Data la natura dello SCHEER, era lecito aspettarsi un maggiore irrigidimento dei suoi componenti sul lato del rischio, vero o presunto. Tuttavia, bisogna riconoscere che il JRC è stato chiamato a fornire un parere sull’energia nucleare nel contesto della Tassonomia, dunque a dare indicazioni chiare sulla maggiore o minore aderenza ai principi della stessa, anche in confronto ad altre tecnologie già incluse nello schema. Se dai dati evidentemente si evince che, rispetto ad un determinato requisito, il nucleare è meno dannoso di un altra fonte considerata sostenibile, non può essere messo in discussione solo il nucleare ma anche l’altra fonte. Per il JRC, ed in definitiva per il decisore politico, ha dunque più senso una risposta comparativa al principio DNSH piuttosto che una assoluta. In secondo luogo vi è il fatto che le evidenze caldeggiate dallo SCHEER e che servirebbero a quantificare in senso deterministico la pericolosità del nucleare (o di qualsiasi altra fonte) non esistono o non possono essere prodotte, in quanto richiederebbero un livello di dettaglio dello studio che spesso supera la significatività dei dati ottenibili. Se infatti ci sono evidenze sugli effetti sulla salute comparati tra diverse fonti (ad es. mortalità o morbosità per unità di energia prodotta), è invece molto difficile effettuare studi accurati che indaghino, per esempio, il numero di tumori di una popolazione che vive vicino ad un impianto nucleare rispetto alla popolazione generale, vuoi perché il campione può essere troppo piccolo, vuoi perché le incertezze sul dato sono troppo grandi, essendo anche difficile ricondurre una patologia ad una singola causa. Similmente, se è facile misurare l’aumento di temperatura delle acque fluviali a valle di un impianto nucleare, è ben più difficile attribuire conseguenze che siano significative dal punto di vista statistico. L’approccio suggerito dallo SCHEER, seppur corretto in linea di principio, potrebbe essere impraticabile, se non addirittura inutile e controproducente. In ogni caso, esse andrebbe applicato a tutte le tecnologie che si vogliono includere nel paniere della sostenibilità, secondo il principio di neutralità tecnologica più volte affermato dalla Commissione EU. Se lo SCHEER concorda che in larga parte i rischi non radiologici legati al nucleare sono confrontabili o inferiori ad altre tecnologie sostenibili, esprime maggiori riserve sui rischi radiologici, sui quali però non si pronuncia nel dettaglio. Una delle obiezioni mosse alla sostenibilità di tali rischi è che il solo contesto normativo non sia di per sé sufficiente alla loro mitigazione, come affermato dal rapporto JRC. Per lo SCHEER si renderebbe necessaria un’attività di verifica e monitoraggio dell’effettiva implementazione delle normative, e la cosa sarebbe ancor più ostica sulle scale temporali di operatività dei depositi geologici dei rifiuti radioattivi. In aggiunta, lo SCHEER stigmatizza il fatto che non vi è alcuna esperienza operativa di simili depositi per tempi così lunghi, dunque tutte le conclusioni del JRC sono basate esclusivamente su teoria e modelli. Verrebbe da dire, che è così per gran parte delle nuove tecnologie legate alle energie rinnovabili (pannelli solari, pale eoliche, batterie, etc.). Non vi è esperienza sullo smaltimento e riciclo su ampia scala dei materiali che li compongono, né sulla sostenibilità economica e sociale della filiera mineraria che li fornisce (come i recenti aumenti dei costi hanno dimostrato), né ancora sugli effetti che una loro elevata penetrazione nelle reti elettriche può avere sulla stabilità e la competitività economica delle stesse. Per non parlare degli effetti ambientali, che data la recente diffusione di queste tecnologie non sono ancora apprezzati compiutamente. Eppure, questa incertezza epistemologica non ha impedito di valutarne positivamente la sostenibilità. Ecco quindi che infine la scelta sulla sostenibilità di questa o quella fonte sarà sostanzialmente politica, auspichiamo basata sui dati scientifici esistenti, e su di una analisi degli stessi scevra da ideologismi.

Il nucleare è morto. Viva il nucleare!

Il nucleare è una tecnologia obsoleta. Trent’anni fa avrebbe avuto senso decarbonizzare con il nucleare ma ormai è troppo tardi. I costi del nucleare non sono competitivi. Il nucleare è pulito ma ormai abbiamo le rinnovabili. Non capita di rado, nei dibattiti sul tema energetico, di sentire almeno una delle affermazioni di cui sopra. Che si tratti dello zio disinformato che l’ha letto su facebook, del giornalista del blasonato quotidiano, o dell’analista di punta di… Greenpeace. E a ben guardare, restringendo il campo di osservazione a determinati contesti e mercati, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, verrebbe da essere d’accordo: il nucleare è morto, e noi abbiamo fatto del nostro meglio per ucciderlo. Parafrasando James Mahaffey nel suo ottimo libro “The Atomic Awakening”, il nucleare è il morto che cammina nel panorama energetico. Negli Stati Uniti, ben prima degli incidenti di Three Mile Islande di Chernobyl, l’espansione nucleare si era arrestata, molti progetti di nuovi reattori abortiti e molte costruzioni già avviate abbandonate già nel 1977. La quota di nucleare nella produzione elettrica raggiunse il 20%, e lì giace da allora. Non furono la paura degli incidenti a bloccare l’espansione del nucleare, ma i costi capitali (non assoluti) da sostenere. Parte della responsabilità ricade anche sull’industria nucleare, che, negli Stati Uniti in particolare, ha privilegiato la rincorsa di progetti first-of-a-kind, invece che la standardizzazione, che avrebbe reso l’espansione della produzione nucleare progressivamente meno costosa e più veloce. Va dato atto che l’industria nucleare – a differenza di altri settori, quale quello aereonautico – ha dovuto fronteggiare un’agguerrita opposizione ideologica che l’ha spinta nel baratro di una regolamentazione sempre più stringente, da cui sono scaturite sì efficienza e sicurezza impareggiabili, ma anche lievitazione dei costi, dei tempi di costruzione e del rischio finanziario. Come se non bastasse, le politiche energetiche poste in essere negli ultimi decenni dal governo federale di Washington, da molti Stati USA e dall’Unione Europea sono platealmente sbilanciate sulle rinnovabili se non apertamente avverse al nucleare. Basti pensare che, negli Stati Uniti, l’energia solare riceve sussidi 250 volte maggiori rispetto al nucleare. L’eolico 158 volte maggiori. Tali politiche, se non sconfessate, avranno un’eredità pesante: si stima che negli USA da qui al 2030 cesseranno di operare centrali per oltre 66 GW (circa la potenza elettrica totale della Germania), a fronte di soli 2 GW di nuova capacità installata. Il saldo negativo globale nello stesso periodo potrebbe raggiungere i 70 GW. In Italia, i sussidi alle rinnovabili pesano sulla bolletta elettrica per 11 miliardi di euro all’anno (con la stessa cifra in Cina si costruiscono due reattori da oltre 1 GW di potenza), con il fotovoltaico che si mangia oltre metà della torta. Ne basterebbe il 10% per rendere i piccoli reattori modulari (SMR) competitivi con il gas naturale a ciclo combinato. L’Europa, ipnotizzata da Berlino, continua a svillaneggiare la fonte nucleare – che produce metà dell’energia pulita del continente – apponendo barriere tecnico-legali senza alcuna base scientifica al suo finanziamento, mettendo a repentaglio la sopravvivenza delle centrali esistenti e pregiudicando i progetti futuri. Ce ne sarebbe abbastanza per suonare la marcia funebre. Eppure ogni giorno che passa aumenta il numero degli studi o dei report che presentano l’ineluttabilità della fonte nucleare per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione che buona parte del mondo industrializzato si è prefissato da qui a tre decenni. Dopo i richiami dell’International Panel for Climate Change (IPCC) e della International Energy Agency (IEA) – due istituzioni non proprio amanti del nucleare – l’ultimo in ordine di tempo e forse il più significativo proviene da due raggruppamenti del Parlamento Europeo, i Conservatori e Riformisti Europei (ERC) e Renew Europe, che insieme possono contare su 158 (su 705) parlamentari. Prendendo a caso di studio due Stati membri, i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca, lo studio peer-review confronta due strategie di decarbonizzazione: una che si basa sulle fonti solare e eolica ed una che si basa sul nucleare. Lo studio raggiunge conclusioni che lasciano poco spazio agli equivoci, e che agli addetti ai lavori non risulteranno tuttavia nuove: le grandi installazioni solari ed eoliche richiedono tra 148 e 534 volte più suolo del nucleare; un mix elettrico 100% solare ed eolico richiederebbe per i Paesi bassi una superficie quasi due volte quella delle loro terre emerse; solare ed eolico hanno costi di circa 4 volte superiori al nucleare. Inoltre, raggiungere la neutralità climatica al 2050 richiederebbe incrementare da ora il tasso di espansione delle rinnovabili, tra 4 e 7 volte quello attuale. Se a questo si aggiunge il rinnovato interesse per il nucleare di molti Paesi dell’Est Europa, dell’Asia e dell’Africa e persino di piccoli Paesi che fino ad ora non lo avevano mai preso in considerazione, come l’Irlandae l’Estonia, anche in vista delle innovazioni tecnologiche che potrebbero affacciarsi sul mercato entro questo decennio, viene allora da esclamare con fiducia: il nucleare è morto, viva il nucleare!