Il racconto del recente viaggio in Giappone di Massimo Burbi, socio del Comitato Nucleare e Ragione*

Prologo

Fukushima non è una città, è una prefettura del Giappone dove vivono quasi 2 milioni di persone che si trova nella regione di Tōhoku. Fukushima City è il suo capoluogo, ma il motivo per cui tutto il mondo conosce questo nome è legato a vicende che si sono svolte a circa 60 km da lì, all’estremo est della prefettura, dove il Giappone confina con l’Oceano Pacifico.

Proprio dall’oceano, l’11 Marzo 2011, arriva Il peggior terremoto mai verificatosi in Giappone e il quarto più potente registrato in tutto il pianeta da 120 anni a questa parte.

Magnitudo 9 può sembrare solo un numero fino a quando non si ha qualcosa con cui confrontarlo. Abbiamo ancora negli occhi il sisma dell’Aquila del 2009, 309 morti e 65000 sfollati. Quel terremoto ha avuto una magnitudo (Richter) 5.9. La scala logaritmica fa sembrare i due numeri non così distanti, ma 3 punti di magnitudo di differenza vogliono dire che il sisma che due anni dopo colpisce il Giappone libera un’energia circa 30000 volte superiore [1].

Come se non bastasse, il terremoto scatena uno tsunami con onde alte più di 10 metri che si abbattono sulla costa ad oltre 700 km/h, penetrando nell’entroterra per chilometri: 16000 morti, 2500 dispersi (che ad anni di distanza sono purtroppo sinonimi, anche se ancora c’è chi non ha smesso di cercare), 120000 edifici completamente distrutti, intere città cancellate e 340000 sfollati.

Sulla costa c’è anche la centrale nucleare di Fukushima Daiichi (che vuol dire numero 1). La centrale regge al terremoto ed è già in shutdown quando arriva l’onda di tsunami. Le linee elettriche sono interrotte e il raffreddamento dei reattori è affidato ai generatori diesel di emergenza.

Uno studio del 2008 (ignorato dalla società Tepco, che gestisce l’impianto) aveva avvertito della possibilità in quell’area di onde di tsunami alte oltre 10 metri, ma nel marzo 2011 a proteggere la struttura dal maremoto, c’è una barriera alta poco più della metà. L’onda che raggiunge la costa circa un’ora dopo il terremoto è alta più di 14 metri, supera facilmente le barriere e sommerge completamente i locali dei generatori diesel, colpevolmente collocati al piano interrato, lasciando la centrale senza corrente elettrica, e quindi anche senza raffreddamento. Si creano così le condizioni che portano, in vari momenti dei giorni successivi, alle esplosioni (chimiche, non nucleari) nei reattori 1-3, e nell’edificio del reattore 4, con rilascio di materiale radioattivo in atmosfera e in mare.

Il giorno dopo oltre 150000 persone nel raggio di 20 km dalla centrale nucleare vengono evacuate [2].

Arrivo a Namie Town

Sono le 11 di mattina quando arriviamo a Namie. Sono passati più di otto anni e mezzo dal terremoto, ma qui sembra che molte cose siano ancora ferme a quei giorni.

Namie Town è stata una delle città maggiormente interessate dal rilascio di materiale radioattivo dalla centrale di Fukushima Daiichi, che si trova a circa 8 km a sud-est in linea d’aria. Per sei anni è stata una città fantasma, solo nella primavera del 2017 è stato permesso alla popolazione di tornare a vivere qui, ma in pochi l’hanno fatto. “Qui vivevano circa 20000 persone, solo il 5% è tornato” mi dice Fumie, originaria di Fukushima City, che mi accompagna in questa giornata.

La zona di evacuazione è andata progressivamente riducendosi nel corso degli anni, attualmente copre il 2.7% del territorio della prefettura e sono circa 30000 le persone che continuano a vivere con lo status di “sfollati” fuori dai suoi confini [2].

Scendiamo dalla macchina nei pressi della stazione ferroviaria. Da qui partono solo treni verso nord, ma ci sono lavori in corso per ripristinare il collegamento con Tomioka Town, circa 20 km più a sud. Fuori dalla stazione ha recentemente aperto un nuovo cafè, da circa due mesi funziona di nuovo il servizio taxi, e non lontano da dove ci troviamo è da poco tornato ad operare il dentista.

Tutti segni di una ricostruzione, non solo materiale, che va avanti a piccoli passi tra molte difficoltà ed incertezze sul futuro.

Camminando per le vie della città la radioattività è estremamente bassa, raramente si superano gli 0.15 µSv/h, livelli inferiori a quelli che si trovano in molte parti d’Italia. A Roma ci si aggira sugli 0.30 µSv/h, e in certe zone del centro di Orvieto si rilevano valori superiori a 0.70 µSv/h.

Una delle strade principali di Namie Town, dove molti edifici sono stati demoliti

Ma per quanto la radioattività possa essere bassa la paura si fa ancora sentire, e in ogni caso non è affatto scontato che chi ha impiegato anni a rifarsi una vita altrove ora torni da dove è venuto, andando incontro ad un’altra faticosa transizione.

A Fukushima non ci sono state vittime per le radiazioni [3], uno studio ha rilevato che nei primi quattro mesi dopo l’incidente, quelli in cui l’esposizione è stata massima, il 99.4% dei soggetti monitorati ha ricevuto una dose equivalente aggiuntiva per esposizione esterna inferiore a 3 mSv [4]. La dose media annua complessiva di un cittadino italiano è dell’ordine di 4.5 mSv [5].

Nonostante questo, circa 2000 persone sono morte a causa di un’evacuazione disorganizzata, in cui c’è chi è stato strappato in fretta e furia dagli ospedali, finendo per non ricevere le cure mediche di cui aveva bisogno, e dello stress da ricollocamento che ha provocato depressione, alcolismo e suicidi [6].

Paura, ansia e scarsa informazione sulle radiazioni da queste parti hanno fatto più vittime dello tsunami [7].

E c’è anche chi pensa che l’evacuazione sia durata troppo a lungo. E’ il caso di Shunichi Yamashita (Nagasaki University), per due anni a capo del progetto che ha studiato gli effetti dell’incidente sulla salute degli abitanti di Fukushima, convinto che le persone avrebbero potuto tornare nelle loro case dopo un mese [8].

Nel centro di Namie molti edifici danneggiati dal terremoto sono stati demoliti, altri, malgrado l’aspetto apparentemente sano, lo saranno presto. A contrassegnarli c’è un piccolo adesivo rosso sulle finestre.

Questo adesivo identifica gli edifici che stanno per essere demoliti

Continuando a camminare raggiungiamo la scuola del paese che affaccia direttamente sulla strada, da una delle vetrate vediamo una scarpiera con decine di scarpe ordinatamente riposte nei vari scomparti.

“Qui è normale cambiarsi le scarpe quando si entra a scuola” mi spiega Fumie, “Il terremoto c’è stato poco prima delle 3 del pomeriggio, i bambini sono scappati lasciandole lì”.

La città è stata evacuata il giorno dopo. A distanza di otto anni e mezzo nessuno è ancora venuto a riprenderle.

Interno della scuola di Namie ripreso dalla strada

Camminando per il centro continuiamo a passare accanto ad edifici apparentemente intatti visti da lontano, ma guardando attraverso i vetri rotti si notano i segni di un terremoto devastante seguito da anni di abbandono.

Finora abbiamo incrociato solo macchine, nessuno a piedi. Poche centinaia di metri e lo scenario, di colpo, cambia: gazebo, tavolini, è in atto una specie di piccolo festival. Mi dicono che la cosa si ripete ogni secondo sabato del mese per sollevare lo spirito di chi è tornato. Il livello dell’intrattenimento non sembra memorabile, ma la gente pare apprezzare. La dose rilevata non arriva a 0.10 µSv/h.

L’area è circondata da piccoli negozi temporanei, che presto saranno spostati in un’altra zona della città. Entriamo nel primo che ci capita, non facciamo in tempo a guardarci intorno che ci offrono tè e biscotti. I prodotti in vendita sono tutti locali, come ci tiene a sottolineare il titolare del negozio. Succede la stessa cosa in tutti gli altri in cui entriamo.

Chi è tornato vuole fortemente ricominciare a coltivare e vendere i prodotti della terra, ma lontano da qui non è facile collocare prodotti di Fukushima sul mercato. Da queste parti la gente si fida pochissimo del governo, che certo non ha brillato nella gestione dell’emergenza, quindi scuole, supermercati e comunità locali si sono dotati di strumenti per testare carne, pesce, verdure, e tutto quello che si mette in tavola, in modo indipendente. Il cibo di Fukushima è probabilmente il più controllato del mondo e chi vive qui sa di non correre rischi legati alla radioattività mangiandolo. C’è addirittura chi dice di non comprare cibo proveniente da altre prefetture perché non viene testato con la stessa attenzione.

Ma anche se gli alimenti rispettano il limite di 100 Bq/Kg di Cesio 137 (peraltro molto più severo di quello in vigore in Europa e negli USA [9]), nel resto del Giappone (e non solo) molti preferiscono comprare prodotti di altra provenienza, anche se non c’è nessun pericolo reale.

Intrattenimento nel centro di Namie Town

Lo stigma legato al nome “Fukushima” è uno dei principali ostacoli alla ripresa di quest’area martoriata.

“Succede anche con le persone” mi dice Fumie. “La gente di qui che si è trasferita altrove viene spesso discriminata per paura della contaminazione”. Essere sottoposti a radiazioni non vuol dire diventare radioattivi. La radioattività non è contagiosa, ma la paura, specie se abbinata alla scarsa informazione, lo è [10].

Lasciamo Namie Town, e ci spostiamo qualche chilometro a nord-ovest.

Uno degli interventi per decontaminare l’area è stato rimuovere 5-10 cm di suolo superficiale debolmente radioattivo e metterlo in sacchi di plastica. Nessuno si è poi però preso la responsabilità di decidere cosa farne, quindi per il momento restano dove sono. Lungo la strada ne vediamo a centinaia. Viene da chiedersi che fine facciano ogni volta che c’è un tifone.

Prendiamo una strada di campagna. Subito dopo l’incidente alla centrale nucleare il governo aveva ordinato di abbattere tutti i capi di bestiame della zona, ma da queste parti c’è un allevatore che non ha rispettato l’ordine. Arriviamo al suo ranch all’ora di pranzo, ci sta aspettando. Ci spiega che le sue vacche da carne non possono essere vendute, quindi moriranno di vecchiaia. “Sono grasse e contente”, aggiunge.

Mentre ci racconta la sua storia non ci vuole molto prima che il suo risentimento verso il governo e la Tepco venga a galla, uno stato d’animo che lo ha reso critico anche nei confronti dell’energia nucleare. La discussione sull’argomento finisce però prima di cominciare, abbiamo ancora molte tappe davanti a noi e dobbiamo proseguire.

Uscendo dalla fattoria il dosimetro e lo spettrometro danno per la prima volta segni di vita. Ai margini della strada rilevo una dose di 0.70-0.80 µSv/h, valori lungi dall’essere allarmanti, ma che possono darmi la prima misura significativa della giornata.

Sacchi di plastica pieni di suolo debolmente radioattivo ai lati di una strada di campagna nell’area di Namie

Decido di fermarmi per registrare uno spettro gamma e avere la conferma che si tratti del Cesio rilasciato dalla centrale. La spettroscopia gamma si basa sul fatto che, dopo un decadimento alfa o beta, il nucleo si trova spesso in uno stato eccitato e deve emettere un raggio gamma per raggiungere il suo stato fondamentale.

Ogni radionuclide emette sempre raggi gamma della stessa energia, che diventano la sua firma. Analizzare uno spettro gamma permette quindi non solo di capire quanta radioattività c’è, ma anche qual è la causa.

Lo spettro conferma la presenza di Cesio 137 e Cesio 134, i radionuclidi maggiormente diffusi in atmosfera a seguito dell’incidente, insieme allo Iodio 131, il più aggressivo dei tre nel breve periodo, ma ormai scomparso dai radar, avendo un tempo di dimezzamento di appena 8 giorni e diventando quindi pressoché innocuo nel giro di poco più di un mese.

Il Cesio 134 si è invece dimezzato quattro volte dal 2011 ad oggi, ed è quindi ridotto a circa il 6% della sua presenza originaria, mentre il Cesio 137, con il suo tempo di dimezzamento di 30 anni, è decaduto solo in minima parte.

Ukedo e dentro la No-Go Zone

Ci dirigiamo verso l’oceano, a Ukedo, dove una volta vivevano circa 2000 persone. Lo tsunami qui ha spazzato via ogni cosa, uccidendo un abitante su dieci. Gli edifici rimasti in piedi sono stati abbattuti perché troppo danneggiati. Guardandosi intorno è difficile immaginare che qui ci fosse una piccola città.

L’area dove si trovava Ukedo

L’unica cosa rimasta in piedi è la scuola elementare, dove l’orologio è ancora fermo all’ora in cui l’onda ha colpito la costa. Quel giorno nella scuola c’erano circa 80 bambini, che si sono salvati solo perché gli insegnanti, dopo l’allarme tsunami, hanno deciso di portarli sulle vicine colline, da dove hanno visto il luogo in cui vivevano essere cancellato, insieme alle vite di molti dei loro genitori.

Siamo a circa 6 km in linea d’aria dalla centrale nucleare e guardando verso sud la vediamo chiaramente in distanza. La dose è la più bassa rilevata fin qui, non si arriva a 0.05 µSv/h.

L’orologio della scuola di Ukedo

La centrale di Fukushima Daiichi vista da Ukedo

Lasciamo la costa ci dirigiamo in macchina verso la Strada Statale n.6, che attraversa la No-Go Zone, dove si può transitare in auto, ma non è consentito scendere e nemmeno aprire il finestrino.

I valori di radioattività salgono, pur restando bassi: registro un isolato 0.50 µSv/h, che si ridimensiona subito in uno 0.30 µSv/h.

Ci fermiamo ad un distributore di benzina. Siamo ancora nella No-Go Zone, ma all’interno dell’area di servizio si può scendere dalla macchina per rifornire senza che nessuno abbia niente da ridire. Decido di approfittarne per registrare un altro spettro gamma. La nostra sosta dura un po’ di più di quella tipica per riempire il serbatoio, accumulo dati per poco più di 15 minuti.

Distributore di benzine lungo la Strada Statale 6, nella No-Go Zone

Dose equivalente all’interno dell’area di servizio nella No-Go Zone (zona di Futaba)

“Com’è qui la radioattività?” mi chiede Fumie. Le rispondo che siamo poco sopra gli 0.30 µSv/h, e che ho rilevato valori più alti a Piazza San Pietro. La firma è sempre quella del Cesio 137 e Cesio 134.

Ripartiamo verso sud lungo la Statale 6, siamo nell’area della città di Futaba. Arrivati a circa 2 km dalla centrale di Fukushima Daiichi ci fermiamo lungo una stradina laterale. La centrale è davanti a noi, ma non ci è consentito avvicinarci più di così. Non abbiamo molto tempo per guardarci intorno, dopo un paio di minuti un poliziotto ci fa capire, in modo cortese ma fermo, che la nostra sosta è durata abbastanza. La dose non raggiunge gli 0.30 µSv/h.

La centrale di Fukushima Daiichi vista da circa 2 km di distanza

Proseguendo ancora verso sud, circa 1 km dopo, incontriamo l’unico vero hot spot della giornata. Per qualche secondo spettrometro e dosimetro rilevano 3-4 µSv/h, un minuto dopo i valori si sono già più che dimezzati, e andando avanti continuano a scendere.

Vorrei registrare uno spettro il più chiaro possibile, e per farlo ho bisogno di più tempo dove la radioattività è più intensa (i livelli non sono comunque pericolosi).

Chiedo di tornare indietro. Nella No-Go-Zone non si può scendere dalla macchina, ma nessuno vieta di fare avanti e indietro. Non sono sicuro che l’autista capisca il motivo della richiesta, ma accetta senza fare obiezioni, torniamo verso la centrale.

L’itinerario percorso nei pressi della centrale di Fukushima Daiichi. Il dosimetro fissa un punto sulla mappa GPS ogni 30 secondi

Accumulo dati per poco meno di 20 minuti, durante i quali la dose media misurata è 1.29 µSv/h. Lo spettro è il più chiaro della giornata, anche se il risultato come previsto non cambia: Cesio 137 e Cesio 134.

Spettro gamma acquisito nella No-Go Zone, lungo la Strada Statale 6, nel tratto più vicino alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi

Tomioka Town, città divisa

Ripartiamo alla volta di Tomioka Town, da cui ci separano poco più di 10 km. La città è tagliata in due da una strada che attualmente è il confine della No Go Zone e offre un’immagine surreale: su un lato si può vivere, sull’altro non si può mettere piede. A sinistra case ben tenute, a destra, a pochi metri di distanza, erba alta e il totale abbandono.

La strada che delimita la No-Go Zone all’interno della città di Tomioka

“Non capisco perché abbiano lasciato qui anche le macchine” mi dice Fumie indicando le auto parcheggiate davanti alle case abbandonate. “Adesso hanno i vetri rotti e le gomme a terra, ma fino ad un anno fa erano perfette”.

Proseguiamo a piedi. A due passi dal limite che non si può oltrepassare gli strumenti rilevano 0.35 µSv/h. Un display posto a poca distanza ci dice che all’interno della zona interdetta la dose equivalente è 0.48 µSv/h, valori tutt’altro che alti, che nel resto della città si riducono di oltre quattro volte, eppure anche qui c’è chi non è tornato per paura delle radiazioni.

Dose equivalente rilevata ai limiti della recinzione che delimita la No-Go Zone a Tomioka Town

La dose all’interno della zona interdetta è indicata a bordo strada

Oltre il guardrail le case sono in stato di totale abbandono

Si sta facendo buio e ci dirigiamo verso la stazione di Tomioka. “Qui è stato tutto ricostruito” mi spiega Fumie “lo tsunami non ha lasciato nessun edificio in piedi”. Anche qui, come a Namie, sono in corso i lavori per rimettere in comunicazione le stazioni ferroviarie delle due città.

Alzando gli occhi ci colpisce un cartello “Tomioka non morirà mai!”. Non sappiamo chi l’abbia attaccato. Guardandolo nessuno dei due sente che ci sia qualcosa da aggiungere. La dose non arriva a 0.10 µSv/h.

Il sole è già tramontato e si è alzato un forte vento quando raggiungiamo di nuovo la costa per l’ultima tappa della nostra visita. A poco più di 1 km di distanza vediamo l’altra centrale nucleare di Fukushima, la numero 2 (Daini).

La centrale nucleare di Fukushima Daini vista dalla costa nei pressi di Tomioka

Abbiamo saltato il pranzo e ci vorranno più di tre ore per raggiungere Tokyo. A Tomioka ha da poco riaperto un supermercato e decidiamo che fermarci a mangiare lì è la cosa migliore.

Il supermercato non è esattamente affollato, ma funziona, i banconi sono pieni e la gente ha un posto dove trovare quello di cui ha bisogno senza doversi spostare. Anche da qui passa la ricostruzione, faticosa e per niente scontata, del tessuto sociale ed economico di una comunità.

A tavola tiro fuori il PC portatile dallo zaino e scarico la mappa GPS con i tutti i punti rilevati, è un modo per ripercorrere la nostra giornata mentre mettiamo qualcosa sotto i denti.

Dose totale accumulata in poco più di sette ore all’interno della prefettura di Fukushima, incluse le fermate nella No-Go Zone, 1.60 µSv. “Vuol dire che abbiamo preso una dose media di 0.22 µSv/h, meno di quanto si prende passeggiando in molte vie del centro di Roma” dico tra un nigiri e l’altro.

Terminato il nostro pasto è tempo di prendere la via del ritorno.

250 km dopo siamo sotto le luci della Yasukuni Dori, nel quartiere di Shinjuku a Tokyo, durante il viaggio abbiamo parlato di molte cose, ma salutandomi Fumie ha un’ultima richiesta da farmi: “Condividi quello che hai visto con la tua famiglia e con i tuoi amici, aiuterai la gente di Fukushima”.

L’informazione è il miglior antidoto contro la paura.

La dose accumulata in poco più di sette ore è stata 1.60 µSv. Il dosimetro riporta l’ora italiana, per l’orario giapponese bisogna aggiungere 8 ore

Andamento della dose media oraria nelle ore di permanenza all’interno della prefettura di Fukushima. Il valore più elevato corrisponde all’ora passata quasi interamente all’interno della No-Go Zone, ed è di poco superiore a 0.50 µSv/h.

Epilogo

Cinque giorni dopo riparto da Tokyo per tornare in Europa. In poco più di 11 ore di volo il mio dosimetro registra una dose accumulata di 44.49 µSv, con picchi di oltre 10 µSv/h e valori medi alla quota di crociera tra 4 e 5 µSv/h.

Probabilmente si tratta di una sottostima [11], lo strumento è fatto per i gamma terrestri e i raggi cosmici che si trovano a 10-12 km di quota sono fuori dal suo range, ma anche prendendo per buono il valore che leggo, scendendo dall’aereo, non posso non chiedermi quante delle persone che hanno condiviso con me quel volo sarebbero state troppo spaventate dalla radioattività per seguire me e Fumie per un giorno a Fukushima, dove avrebbero preso una dose quasi trenta volte inferiore.

Andamento della dose media oraria misurata nelle ore di volo da Tokyo Haneda a Monaco di Baviera. L’aumento dei valori a partire dall’ottava ora corrisponde a un incremento della quota di crociera da 11500 a 12200 metri.

Note

I dati rilevati si riferiscono alla dose equivalente personale per esposizione esterna che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha rappresentato di gran lunga il contributo dominante alla dose complessiva ricevuta dalla popolazione delle aree maggiormente colpite.

https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/44877/9789241503662_eng.pdf;jsessionid=B459B0A64292271AF1134F9AF763CCDA?sequence=1 (pagine 41 e 51)

Le unità di misura citate sono µSv (microsievert) e mSv (millisievert) e misurano la dose equivalente, ovvero l’effetto biologico dell’assorbimento di radiazioni ionizzanti. 1 millisievert corrisponde a 1000 microsievert.

Le misure hanno un margine di errore dell’ordine del 10-20%.

Strumenti utilizzati:

  • Spettrometro: Mirion PDS 100G
  • Dosimetro: Tracerco PED+
  • Contatore Geiger: SE International Radiation Alert Ranger

Il dosimetro può essere usato sia in modalità “dose personale” sia in modalità survey meter. Per l’accumulo della dose personale è stato indossato sul torace per la quasi totalità del tempo.

Fonti e link per approfondire

[1] https://www.scientificamerican.com/article/details-of-japan-earthquake/

http://www.protezionecivile.gov.it/attivita-rischi/rischio-sismico/emergenze/abruzzo-2009

http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-4836d49a-370b-4179-ac82-4160dce61984.html

[2] http://www.pref.fukushima.lg.jp/site/portal-english/en03-08.html?fbclid=IwAR3dFVamEFNd93lVUo_EaDmfztSBlAqiKsUL5WvgNbxaHfjOOvZ-CVJZ4Fc

[3] https://www.who.int/ionizing_radiation/a_e/fukushima/faqs-fukushima/en/

Nel 2018 è stata registrata la prima, e finora unica, morte che potrebbe essere collegata alle radiazioni.

https://www.bbc.com/news/world-asia-45423575

[4] https://www.niph.go.jp/journal/data/67-1/201867010003.pdf

[5] http://www.fisicaweb.org/doc/radioattivita/geiger%20muller/taratura.pdf?fbclid=IwAR2GMarmxt093hTPJWUvygCtjiTePRl6OEadUXyhTMUC1LEFsxYWawO713c

[6] https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0936655516000054

https://www.ft.com/content/000f864e-22ba-11e8-add1-0e8958b189ea

[7] https://www.japantimes.co.jp/news/2014/02/20/national/post-quake-illnesses-kill-more-in-fukushima-than-2011-disaster#.Xe-D3Rt7m02

[8] https://www.newscientist.com/article/2125805-a-nuclear-ghost-town-in-japan-welcomes-back-residents-this-week/

[9] https://www.pref.fukushima.lg.jp/site/portal-it/it01-03.html

[10] https://www.japantimes.co.jp/news/2013/05/09/national/fukushima-activist-fights-fear-and-discrimination-based-on-radiation/#.XezovBt7lNA

[11]http://www.unscear.org/docs/reports/annexb.pdf

 

* L’articolo è riprodotto integralmente dall’originale con il consenso dell’autore e del Comitato Nucleare e Ragione, che ringraziamo.

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